Il Giro del Mondo ricerca in spalla

Preparati, appassionati e viaggiatori. Sempre pronti a mettere la scienza in valigia per scoprire i principali laboratori del mondo: sono i giovani ricercatori della Fondazione Toscana Life Sciences. Oggi vi raccontiamo l’esperienza all’estero di Marco, Veronica, Vittoria e Arianna. In comune la passione per la ricerca e tanta voglia di confrontarsi con nuove sfide di salute. Da Austin a Oxford, passando per Stanford e fino al North Carolina, i giovani ricercatori di TLS ci portano alla scoperta dei più prestigiosi gruppi di ricerca internazionali per approfondire le tecniche più innovative, guidati da professori illuminati e circondati da ricercatori che, con il tempo, sono diventati colleghi, ma soprattutto amici.

Partiamo da Marco Troisi che ha trascorso 10 mesi a Austin, Texas, all’interno del McLellan Lab, laboratorio della UTA (University of Texas, at Austin) grazie alla borsa di studio ideata e co-finanziata dal Rotary Club Chianciano-Chiusi-Montepulciano con il Distretto Rotary 2071 e la Rotary Foundation. Il team, che conta circa 20 persone, si occupa di ottenere informazioni strutturali di proteine (soprattutto virali) e dell’interazione di esse con le macromolecole dell’ospite. Un’attività di ricerca finalizzata allo sviluppo di terapeutici, anticorpi protettivi e vaccini.  A guidare il laboratorio è il Professore Jason McLellan che, tra le tante cose, è stato uno degli scienziati più attivi nello studio di un vaccino anti RSV (Virus Respiratorio Sinciziale). La tecnologia sviluppata dal suo team, inoltre, si trova in molti dei principali vaccini contro il COVID-19 (Pfizer/BioNTech, Moderna, Johnson & Johnson e Novavax).  Qui Marco si è occupato di approfondire il Cryogenic electron microscopy (CryoEM) per capire l’interazione tra anticorpi battericidi contro Neisseria gonorrhoeae e i loro antigeni riconosciuti. “E proprio attraverso la cryoEM – racconta Marco – è stato possibile capire in maniera più dettagliata i meccanismi attraverso cui questi anticorpi legano il loro target e la loro modalità di azione di battericidia”.

Laboratorio, ma anche tante esperienze umane uniche. Una giornata tipo? Marco la ricorda così: “Era composta principalmente da attività fisica mattutina e poi laboratorio. Rimanevo volentieri fino a tarda sera cercando di sfruttare al meglio il tempo che avevo a disposizione per ottenere risultati. Inoltre, spesso prendevo parte alle tante attività di gruppo del Rotary Club. Austin è una città che offre tanto (servizi, divertimento, parchi, musica) ed è particolarmente sicura. Per questa ragione non ho perso occasione di visitare posti e passare del tempo in giro con i miei nuovi amici”.

L’esperienza all’estero credo sia imprescindibile nella vita di un ricercatore – conclude Marco – Secondo me è interessante capire come funziona al di fuori del proprio ambiente, perché solo uscendo dalla propria comfort zone si possono approfondire nuovi modi di fare ricerca, ma anche scoprire nuovi modi di pensare e, di conseguenza, migliorare le proprie conoscenze professionali attraverso l’interazione e il confronto con persone che hanno un background culturale e professionale completamente diverso dal nostro. E non ultimo l’esperienza all’estero mi ha permesso di conoscere persone nuove. Jason e tutti i membri del lab mi hanno accolto a braccia aperte e da subito mi hanno fatto sentire parte del gruppo, sia fuori che dentro il lab. Il risultato di tutto questo è stato l’acquisizione di tantissime nuove conoscenze e tante nuove amicizie che sono felice di aver fatto”.

Ha svolto un periodo di Dottorato all’estero anche Veronica Strazza, che durante il suo terzo e ultimo anno di Dottorato in Biochemistry and Molecular Biology Bibim 2.0 del Dipartimento di Biotecnologie, Chimica e Farmacia dell’Università degli Studi di Siena, si è unita per sei mesi (da gennaio a luglio 2023) al gruppo di ricerca del professor Simon Draper presso l’Università di OxfordDepartment of Biochemistry, per lo studio e lo sviluppo di anticorpi monoclonali umani associati a malattie infettive. La giovane ricercatrice dell’Hyper Antibody Research Development (HARD) Lab di TLS si è dedicata allo studio e sviluppo di anticorpi monoclonali ricombinanti per applicazioni diagnostiche e immunoterapiche. In particolare, il suo progetto di ricerca si è concentrato sullo sviluppo di anticorpi monoclonali ricombinanti da singole plasmacellule isolate da sangue periferico di pazienti convalescenti da COVID-19, attraverso l’utilizzo alternativo della tecnologia FerrofluidTM.

Il gruppo del professor Draper si occupa di migliorare e sviluppare nuovi approcci per la progettazione di vaccini contro gli antigeni dello stadio del sangue della malaria, e di comprendere meglio i meccanismi molecolari dell’immunità indotta dal vaccino all’infezione da malaria in stadio ematico. E all’interno del gruppo, l’attività di ricerca di Veronica si è incentrata sullo sviluppo, studio e caratterizzazione di anticorpi monoclonali isolati da cellule B della memoria da volontari vaccinati.

Un’attività che, come racconta Veronica: “È stata un’esperienza molto costruttiva, sia personalmente che professionalmente. È stato un vero piacere lavorare con un gruppo multidisciplinare formato da professori, ricercatori e medici. Un team di ricerca che lavora insieme per un unico obiettivo, condividendo le varie conoscenze in modo stimolante e costruttivo. In questi mesi ho imparato utilizzare nuove strumentazioni e tecniche che spero di poter utilizzare in futuro applicandole anche all’interno del mio gruppo di ricerca in TLS”.

Da Oxford arriviamo a Stanford con Vittoria Zucconi, giovane ricercatrice del Monoclonal Antibody Discovery (MAD) Lab di TLS, che ha trascorso 6 mesi nel laboratorio di microbiologia e immunologia di Stanford del professor Manuel Amieva, medico pediatra esperto di malattie infettive. Il laboratorio internazionale studia le interazioni tra ospite e patogeno, principalmente attraverso tecniche di microscopia e colture cellulari tridimensionali derivate da biopsie di pazienti. Il batterio principale su cui il gruppo si focalizza è Helicobacter pylori, ma Amieva ha lavorato e tuttora collabora con gruppi che si occupano anche di altri patogeni. Vittoria ha continuato ad approfondire, anche nel corso della sua esperienza all’estero, lo studio dei batteri resistenti agli antibiotici con lo scopo di trovare soluzioni per affrontare il problema dell’antibiotico-resistenza. Un’attività che in laboratorio a Siena si concentra nell’identificare, isolare e caratterizzare anticorpi monoclonali che possano essere utilizzati come terapie per poter neutralizzare patogeni estremamente pericolosi. In particolare, per il suo dottorato Vittoria si sta concentrando su Klebsiella pneumoniae.

Durante il mio periodo a Stanford – racconta Vittoria – mi sono occupata di studiare le interazioni tra patogeno e ospite, tra Klebsiella pneumoniae e colture tridimensionali di colon umano. Ho imparato a maneggiare cellule derivanti da biopsie di pazienti e a progettare esperimenti con questo tipo di modello. Ho anche acquisito molta padronanza in tecniche di microscopia confocale a fluorescenza, riuscendo ad avere dei dati preliminari sui primi step di patogenesi di un batterio che ha un processo di infezione ancora non del tutto chiarito. Inoltre, nelle ultime settimane in laboratorio sono riuscita anche a portare a termine degli esperimenti con gli anticorpi monoclonali isolati in laboratorio a Siena e ho potuto osservare anche in questo caso alcuni fenotipi interessanti”.

Il gruppo di ricerca – spiega ancora Vittoria – è decisamente più piccolo del MAD-Lab, ma lavora a stretto contatto con un altro gruppo più numeroso (il Monack lab) che si occupa di studiare vari ceppi di Salmonella. La collaborazione con le persone del laboratorio della prof. Monack è molto incoraggiata. Infatti, al mio arrivo a Stanford ho seguito una ricercatrice di questo team per imparare a maneggiare organoidi derivati dal colon. Ogni settimana i lab meeting sono in comune con il Monack lab, in modo da avere riscontri non solo dal gruppo ristretto, ma anche dagli altri collaboratori. Il lab meeting è sempre un momento di condivisione e di miglioramento, si parla spesso di ciò che non funziona per cercare di trovare soluzioni insieme”.

La mia esperienza a Stanford è stata davvero positiva – conclude Vittoria – “Mi sono trovata in un ambiente che ha stimolato moltissimo la mia crescita professionale: ho sempre avuto lo spazio per  parlare delle mie idee, per  testare ipotesi e per  aggiustare il tiro nel momento Ho avuto la possibilità di imparare da ricercatori preparatissimi che, nonostante i loro impegni e i loro progetti, hanno sempre trovato il tempo di aiutarmi, insegnarmi e consigliarmi. Hanno condiviso la mia felicità e soddisfazione nel vedere dei risultati promettenti come se fossero i loro, facendomi capire che un ambiente del genere è quello di cui ho bisogno e a cui aspiro per il mio futuro. Ho avuto ulteriore conferma del fatto che senza condivisione e voglia di collaborare la ricerca perde il suo senso e diventa davvero difficile da portare avanti. Solo lavorando insieme e mettendo in discussione le proprie certezze si può arrivare a nuove scoperte significative”.

Il giro del Mondo dei nostri ricercatori ci porta al “Plants for Human Health Institute” di Kannapolis, North Carolina (NC), dove Arianna Pasqui ha trascorso circa 9 mesi nel laboratorio del Professor Giuseppe Valacchi, ordinario di Fisiologia all’Università di Ferrara e di Medicina Rigenerativa alla North Carolina State University, che si occupa di approfondire la sindrome di Rett utilizzando una strumentazione all’avanguardia e di studiare modelli di pelle sottoposti a diverse condizioni di stress.

Durante questi mesi ho lavorato con molti ricercatori, e, grazie a un continuo confronto e scambio di idee con loro, ho potuto imparare nuove tecniche e metodi di studio da applicare al mio progetto di ricerca – racconta Arianna. Nello specifico la giovane ricercatrice della Mass Spectrometry Unit (MSU) di TLS ha portato avanti un progetto di dottorato focalizzato sullo studio della sindrome di Rett, una malattia genetica rara causata dalla mutazione spontanea al gene MECP2 e caratterizzata da un disturbo neurologico che colpisce principalmente le bambine (1 su 15000) e che viene diagnosticata a partire dai 6 mesi di vita. Un lavoro di ricerca che Arianna ha iniziato a Siena, con la supervisione di Laura Salvini e del suo team, allo scopo di mettere a punto un protocollo di proteomica per l’ottimizzazione di esperimenti nell’ambito della sindrome di Rett e la conseguente elaborazione dei dati con l’utilizzo di tools e database di bioinformatica.

Durante il periodo trascorso in America – racconta ancora Ariannami sono concentrata sulla biologia molecolare, approfondendo i risultati ottenuti a Siena con lo scopo di trovare nuovi biomarcatori per la sindrome di Rett nell’ambito della medicina di precisione”.

Un’esperienza di ricerca e di vita. “Le mie giornate negli Stati Uniti erano intense e ben strutturate – ricorda Arianna – Mi svegliavo presto per allenarmi in palestra e poi andavo al centro di ricerca. Rimanere in laboratorio per lunghe ore mi ha permesso di approfondire alcuni aspetti del mio studio e di discutere con i colleghi per condividere idee e ottenere nuove prospettive. Dopo il lavoro, trascorrevo del tempo con i colleghi, spesso uscendo insieme per prendere una birra e rilassarci. Ho sempre nutrito un forte interesse per la ricerca scientifica, un campo che richiede impegno, studio e la volontà di mettersi costantemente alla prova. Mi entusiasma l’opportunità di continuare a studiare e migliorare lungo il percorso. Un altro aspetto che trovo particolarmente gratificante è la possibilità di contribuire, anche se in modo modesto, ad aiutare coloro che sono meno fortunati di me, come le bambine affette dalla sindrome di Rett. Durante questa esperienza, ho avuto l’opportunità di approfondire il mio progetto di ricerca, unendo entrambi gli aspetti che mi motivano. Ho confermato ancora una volta l’importanza del lavoro di squadra e dello scambio di idee, che mi ha permesso di crescere e vedere le cose da prospettive inaspettate. Sono soddisfatta di questa consapevolezza e ogni mattina non vedo l’ora di iniziare a lavorare”.

Dopo circa nove mesi trascorsi in America mi sento una persona diversa, più sicura di me stessa sia dal punto di vista personale che professionale.

 Durante questo periodo, infatti, ho avuto l’opportunità di mettere in pratica le conoscenze che ho acquisito nel corso degli anni e ho imparato moltissimo lavorando in laboratorio. Personalmente, consiglierei a chiunque di vivere un’esperienza del genere, poiché porta ad un arricchimento interiore. Ho imparato che un semplice gesto di gentilezza può migliorare la giornata, non solo tua, ma anche di coloro che ti circondano. E soprattutto, ho capito che la differenza non è fatta dal luogo in cui ti trovi, ma dalle persone che incontri lungo il cammino”.